Al tartufo gli italiani dovrebbero fare un "monumento" per meriti ambientali, perché grazie al prezioso tubero che si sta' rimboscando mezza Italia. Un tartufo, dal punto di vista botanico, è un fungo, del genere Tuber.

A differenza dei funghi epigei che, a un certo punto della loro vita, fanno capolino sopra terra, i tartufi sono funghi ipogei, vale a dire che vivono sempre sotto terra.

Al pari di tutti i funghi, il tartufo ha un ciclo biologico caratteristico, diverso da quello delle piante superiori.

Tre, in sintesi, sono i momenti principali di questo ciclo: la crescita del micelio, la fitta rete di filamenti dallo sviluppo molto esteso; la formazione del «corpo fruttifero», quello che noi chiamiamo tartufo; l'emissione di spore deputate alla riproduzione e alla formazione di altri miceli. Solo quando le spore sono mature, il tartufo emana un profumo intensissimo, quello che ci avverte che è pronto per essere estratto dal terreno.

In natura, le spore, dotate di una robusta parete, vengono disperse dai lombrichi e da altri animali terricoli che si cibano dei tartufi e poi le evacuano intatte.

La vita del micelio, e quindi la formazione del tartufo, non può prescindere dalla presenza degli alberi. Le ife (i filamenti) che lo compongono intessono rapporti strettissimi con le radici di roverelle, carpini, noccioli, tigli, ma anche di pioppi, salici, cisti e pini.

Il micelio aiuta le piante nella ricerca di acqua e sali minerali; le piante forniscono sostanze che il fungo ipogeo, non dotato di clorofilla, non è in grado di sintetizzare.

Prova tangibile di questo felice connubio tra le ife e i peli radicali è la presenza nel terreno di minuscole formazioni dette "micorrize".

Tartufo & Varietà

    1. Il vero intenditore conosce le stagioni dei tartufi e sa apprezzare, di ognuno, le caratteristiche peculiari. Purtroppo però, come spesso succede, capita di trovarsi di fronte a offerte di mercato abbastanza invitanti (non sempre convenienti) ma non sincere, alle quali sembra difficile poter resistere.


    2. Tutta colpa di questo esaltante profumo che corrisponde a una precisa sequenza chimica che è stata identificata e ha potuto essere «copiata» artificialmente. Con un grande vantaggio: la sostanza artificiale è stabile e ha caratteristiche di durata davvero eccezionali.
      Il vero aroma di tartufo è instabile e può, in qualche modo, essere trattenuto solo da sostanze grasse (per esempio dal burro, oppure dal formaggio, ma solo se il tartufo è aggiunto durante la fermentazione e il prodotto non viene sottoposto a pastorizzazione).


    3. È tutto un problema di legislazione: una norma recita che un aroma sintetico, la cui molecola sia uguale a quella che si trova in natura, è parificato a un aroma naturale.
      Un'altra legge dice che se un aroma non è estratto da una sostanza naturale non è aroma naturale.


    4. Sta di fatto che, in forza della prima legge, più di un prodotto derivato (olio, paste da spalmare, sughi, paste ripiene), artificialmente aromatizzato, può fregiarsi in etichetta della dicitura «aroma naturale» o «al tartufo».


    5. Gli incidenti di percorso (detti anche cattivi incontri gastronomici) sono dunque più di uno.
      Il più grossolano è quello che vede protagonista la Terfezia, un fungo che cresce sotto terra come il tartufo, largamente diffuso in territorio nordafricano, totalmente insipido, che può essere arricchito di aroma e, opportunamente confezionato e calibrato, esser proposto allo stesso prezzo del parente nobile.


    1. Una volta raccolto nelle sue migliori condizioni, lo stato di grazia del tartufo non dura a lungo. In breve tempo i tuberi vanno incontro a processi di maturazione biochimica che li rendono meno consistenti, alterandone l'aroma. La soluzione del problema della conservazione dovrebbe essere demandata alle industrie specializzate.
      Ci sono occasioni, però, in cui, per cause di forza maggiore, occorre conservare i tartufi freschi.

    2. Ecco alcuni consigli: anzitutto non eliminare la terra per non accelerare i processi di formazione dei microrganismi, avvolgere ogni tartufo in comune carta da pane e deporlo, in un barattolo chiuso, nella parte meno fredda del frigo.

    3. La carta deve essere cambiata ogni giorno. Questo metodo permette una conservazione di circa cinque, sei giorni, non più per il tartufo bianco e di una decina per il nero. Vi è, inoltre, il metodo del riso, che consiste nel conservare il tartufo in un barattolo contenente riso: tuttavia, secondo gli esperti tale metodo non è dei migliori, perché lascia seccare il tubero, togliendogli l'aria e facilitandone l'eccessiva maturazione. Altro sistema per conservare più a lungo ogni specie di tartufo è quello di cuocerlo in olio, ricavandone una salsetta che, in frigo, potrà rimanere per più di un mese senza subire alterazioni di sorta.

    4. Oppure si può tritare, se nero, o affettare se bianco ed amalgamare con del burro morbido, con l'aggiunta di poco sale, quindi ricomporre in una forma che può essere a tubo o a mattonella, come si preferisce.

    5. Ogni qualvolta si vorrà aggiungere ad un piatto cucinato l'aroma del tartufo basterà, a cottura ultimata, unire un fiocchetto del pregiato burro di tartufo, che sta riposando in frigo.

    6. Questo sistema sarà valido per conservare tartufi per un mese o poco più.

    1. Prima dell'uso i tartufi vanno puliti accuratamente e delicatamente con uno spazzolino morbido, onde eliminare tutte le particelle terrose.


    2. È consigliabile, prima di iniziare l'operazione, tenerli a bagno per qualche minuto in acqua tiepida; ciò favorirà la scomparsa della terra anche dagli interstizi tra una gibbosità e l'altra.

    3. La corteccia è perfettamente commestibile e va consumata come il resto del tartufo, ed è anch'essa aromatica e saporita.

Foto copyright d.ssa Gabriella Di Massimo